martedì 28 maggio 2013

Aborto clandestino, vergogna di stato

Riprendo e giro volentieri questo articolo.
di Monica Capo
“Tutti noi pensiamo di vivere in un Paese “mediamente” civile per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali, il diritto alla salute, al lavoro, alle pari opportunità, all’accesso ai servizi. E in questo “mediamente” diamo per acquisite le conquiste fatte nei decenni passati, immaginiamo che siano diventate pratiche sociali, economiche, mediche condivise da tutti e dappertutto con gli stessi standard. Non è così”.

Lo ha affermato, di recente, il giornalista Riccardo Iacona ed è probabilmente il pensiero che meglio può aiutarci a capire come l’Italia stia scivolando verso l’inapplicabilità della Legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza che ha compiuto, proprio in questi giorni, 35 anni ma si avvia, purtroppo, a diventare un diritto solo sulla carta, se non ci sarà presto un’inversione di tendenza. Ne sono convinte Laiga, Aied, Associazione Luca Coscioni e le associazioni delle donne tanto da spingersi addirittura a parlare di “sabotaggio” di una legge dello Stato, perché se è vero che ormai l’Italia presenta un tasso di abortività fra i più bassi d’occidente, il personale ospedaliero che rifiuta di eseguire le interruzioni, per intenderci gli obiettori, rappresenta ormai la stragrande maggioranza: più precisamente sette ginecologi su dieci negli ospedali italiani non praticano l’aborto. In pratica, ciò significa che molti ospedali italiani sono assolutamente scoperti, soprattutto al sud.
Tutto questo si può facilmente dedurre anche dai dati della relazione 2012 del ministero della Salute sullo stato di attuazione della legge, perché le Università non formano nuovi ginecologi all’interruzione della gravidanza, e dato che quelli che operano attualmente stanno andando in pensione, entro tre o quattro anni l’aborto, specie terapeutico, non sarà più possibile in Italia.
E non basta, infatti, anche tra i non medici l’obiezione è cresciuta.
Ma cosa significa negare il diritto di interrompere una gravidanza indesiderata nella sicurezza e nella legalità? Significa, per prima cosa, il ritorno all’aborto clandestino: nei seminterrati per chi non ha mezzi come le donne più fragili e le immigrate, o nelle costose cliniche estere per chi li ha i mezzi. Ma soprattutto significa aumento della mortalità e delle complicanze che portano alla sterilità. Insomma, viviamo in un paese che, fatta una legge, dimentica le politiche efficaci per applicarla e questo accade per tutta una serie di motivazioni.
Oltre alle pressioni religiose esercitate sui medici (in realtà abbiamo la presunzione di essere mentalmente più eruditi degli islamici ma da duemila anni viviamo in uno Stato in cui la religione detta leggi e privilegi) c’è il fatto che se una struttura ospedaliera ha una maggioranza di obiettori, ai medici che non lo sono è preclusa la possibilità di lavorare a tutto campo o si penalizza la loro carriera, per cui si crea inevitabilmente una situazione nella quale il medico viene indotto a fare obiezione di coscienza. Ma, ci sono sicuramente anche i veri obiettori che esercitano un legittimo diritto, previsto dalla stessa Legge 194, anche se viene da chiedersi quanti di questi obiettori nel settore “pubblico”, eseguano aborti in strutture “private”.
Intanto, tornano all’attacco anche i “prolife” che in 30mila hanno sfilato alla terza Marcia per la Vita a Roma il 12 maggio scorso, per non parlare di certe campagne di stampa, come nel caso per cui ci fu la condanna ad Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, secondo cui i giudici costringono le adolescenti ad abortire e fanno campagne diffamatorie.
Eppure, per porre rimedio a questa difficile situazione, basterebbe che il servizio pubblico utilizzasse la mobilità prevista dalla 194, per garantire il servizio negli ospedali e nei consultori e compensare le carenze di medici e infermieri non obiettori. Che introducesse la preferenza per la non obiezione tra i requisiti di chi deve essere assunto o trasferito in strutture con oltre il 50% di obiettori, e a loro affidasse la responsabilità dei presidi medesimi. Ma bisognerebbe rimuovere anche gli ostacoli alla contraccezione di emergenza e prendere atto che nulla viene fatto sul fronte dell’informazione sessuale.
E sarebbe opportuno che, dove ci sono precise violazioni di legge e gravissime inadempienze, alle quali ministero della Sanità e Regioni assistono inerti, intervenissero le procure interessate. Fermo restando che sono soprattutto le donne ad essere chiamate, ancora una volta, a mobilitarsi per opporsi al tentativo malcelato di minare certi diritti tanto faticosamente conquistati.


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