mercoledì 16 gennaio 2013

Il Tradimento dei tecnici

Spigolando in rete ho trovato un interessante articolo di un economista, italiano, divenuto famoso perchè nell'ultimo periodo è stato molto spesso a Ballarò ed è scrittore di numerosi articoli sull'Epresso, si tratta di Luigi Zingales. Mi trovo, spesso, in disaccordo con le sue idee (non a caso aderisce al movimento di Oscar Giannino, altro partito di centro destra formato da imprenditori, economisti e personaggi che nulla hanno a che fare con i conti della serva), ma in questo caso mi trova pienamente d'accordo.
Negli Usa tutti gli chiederebbero: perché quando è diventato premier ha preso l'impegno di non candidarsi e poi l'ha disatteso? In Italia non succede. Ma il professore dovrà rendere conto alla sua coscienza e alla storia.
Negli Stati Uniti le interviste a Monti inizierebbero tutte dalla stessa domanda: «Presidente, quando le fu conferito l'incarico lei si impegnò pubblicamente a non candidarsi e a fare pressione affinché i suoi ministri non si candidassero. Invece, ha creato un partito che sta candidando i suoi ministri. Come può convincere gli elettori a fidarsi di lei, quando ha violato la prima promessa fatta da uomo pubblico?».
In Italia i giornalisti sono meno aggressivi e quindi non ci è dato di sapere quale sarebbe la risposta. Molto probabilmente qualcosa tipo: «Sono stato costretto a farlo per salvaguardare gli sforzi fatti e la prosecuzione della mia Agenda». Un intento lodevole, ma errato. Con la sua "salita in politica" Monti mina non solo la credibilità di qualsiasi futuro governo tecnico, ma quella della sua stessa Agenda. 
Se al colmo della crisi Napolitano ha potuto chiamare Monti è anche perché il precedente tecnico (Ciampi) era rimasto tale e quindi i politici non temevano di essere esautorati. Dopo il voltafaccia di Monti, quale politico sosterrà mai più un governo tecnico sapendo che rischia di coltivarsi una serpe in seno? 
Poco male, si dirà. Eppure nei momenti di crisi i governi tecnici svolgono una funzione essenziale, non per un problema di competenza, ma di incentivi. Le crisi richiedono riforme strutturali dolorose. Per definizione queste riforme tendono a produrre i loro benefici nel lungo periodo mentre i loro costi si avvertono nel breve: una combinazione insostenibile per un politico che deve affrontare elezioni a breve termine. 
Per questo è necessario un governo  di persone non assillate da questa preoccupazione. 
Ma non basta. Se così fosse qualsiasi politico pro tempore, tecnico o no, andrebbe bene. Il beneficio del tecnico è che mette in gioco la sua reputazione. Il costo per un medico di sbagliare una riforma sanitaria, per un militare una strategia bellica e per un economista una manovra economica è infinitamente superiore che per un qualsiasi politico pro tempore. Il governo dei tecnici dovrebbe essere un governo il cui obiettivo non è la rielezione, ma la Storia. 
Quando in ottobre l'economista Tito Boeri scrisse su Twitter «Monti i sondaggi non dovrebbe neanche guardarli, figuriamoci commentarli», esprimeva proprio questo concetto. E' questa diversa prospettiva che dà a un governo tecnico una maggiore credibilità. 
La "salita in politica" di Monti cambia questa prospettiva, gettando una luce sinistra sulle scelte operate dal suo governo. La riforma dell'articolo 18 è stata fatta per migliorare il mercato del lavoro o per piacere alla Confindustria, di cui l'alleato Montezemolo è un esponente? La decisione di non chiedere alla Chiesa il pagamento dell'Ici arretrata è stata presa per comprarsi l'appoggio del cardinale Bagnasco? Da visione di un tecnico illuminato, l'Agenda Monti diventa il programma di un politico qualsiasi intento a vincere le prossime elezioni. Di questo errore Monti dovrà rendere conto alla Storia, oltre che alla sua coscienza.


fonte http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-tradimento-di-monti/2197932



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