mercoledì 24 ottobre 2012

"Troppa austerity fà male, strangola l'economia Ue" Chi lo dice?

Questa è l'analisi dei Comunisti italiani, mi sono detto quando ho letto l'articolo e devo essere sincero lo stavo pure saltando, d'altronde di articoli del genere ve ne sono a tonnellate, ma poi leggendo in piccoletto il virgolettato ho capito che invece era una notizia da dare!
L'analisi di questo articolo è stata fatta DAL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE AL SOLE 24 ORE, solitamente sono proprio quelli del FMI ad essere cattivi con gli "spendaccioni", ma adesso e sopratutto nel caso dell'Europa, sembrano addirittura sconfessare la politica economica seguita in questi ultimi anni.

Europa isolata nel rigore 
Può sembrare strano che sia il Fondo monetario, considerato il cane da guardia più feroce dell'austerità fiscale, a rivelare che l'impatto del rigore sulla crescita è più pesante di quanto si ritenesse finora. E a predicare quindi gradualismo, invece dell'austerità tutta e subito. E soprattutto evitare l'avvitamento fra tagli, recessione e nuovi tagli. Come sta avvenendo in Grecia e Spagna. In realtà, si tratta di un processo di revisionismo in corso da tempo all'Fmi, avviato con Dominique Strauss-Kahn e Olivier Blanchard. E anche nei recenti negoziati sugli aiuti ai Paesi Ue in crisi, è stato spesso il Fondo il membro della troika più "soft" nell'applicazione del rigore. Nella saga della Grecia, il direttore dell'Fmi, Christine Lagarde, va ripetendo che Atene avrà bisogno di più tempo. Una conclusione che prima o poi sarà inevitabile, salvo voler espellere la Grecia dall'Eurozona. Nella definizione del rapporto ottimale fra austerità e crescita, insomma, chi sembra essere rimasto indietro rispetto alla realtà dell'economia reale, non è l'ex cerbero di Washington, ma l'Europa.

Fonte Sole 24 ore
Alessandro Merli

I risultati di un nuovo studio dell'Fmi rivelano che i piani di austerità fiscale hanno probabilmente un impatto negativo sulla crescita molto superiore a quanto stimato finora. La conclusione principale per la politica economica è che la riduzione del deficit pubblico deve essere possibilmente più graduale, a meno che i tempi non vengano forzati dalle pressioni di mercato.
La discussione, che appassiona gli economisti, ha importanti conseguenze pratiche nel caso dell'Europa, dove molti Paesi contemporaneamente stanno applicando severi programmi di austerità e verte attorno alla misura del cosiddetto moltiplicatore fiscale. Questo descrive il rapporto fra un cambiamento nel deficit pubblico e la crescita dell'economia. Finora, la maggior parte dei modelli utilizzati dalle istituzioni internazionali (fra cui quello della Commissione europea, su cui sono basati i programmi di aggiustamento dei Paesi in difficoltà e le previsioni di crescita) indicava il moltiplicatore fiscale a 0,5: cioè a ogni punto percentuale di taglio del deficit corrisponderebbe mezzo punto di minor crescita. Secondo i nuovi calcoli dell'Fmi, realizzati sotto la guida del capo economista Olivier Blanchard sulla base di dati per 28 economie dallo scoppio della crisi del 2008 a oggi, il moltiplicatore si collocherebbe in realtà fra lo 0,9 e l'1,7. A ogni riduzione del deficit dell'1% del prodotto interno lordo segue quindi una minor crescita nella migliore delle ipotesi quasi equivalente o nella peggiore molto superiore. Bisogna chiedersi, dice lo studio, se gli effetti negativi dei tagli nel breve termine siano stati maggiori del previsto perché i moltiplicatori fiscali sono stati sottostimati. Il rischio è quindi quello di innescare una spirale negativa fra tagli fiscali e recessione. I nuovi risultati sono probabilmente influenzati dal fatto che viviamo un momento economico, dopo la Grande Recessione, in cui i tassi d'interesse sono già vicini allo zero (la politica monetaria non può quindi compensare la restrizione di bilancio), ci sono già ampie risorse inutilizzate (evidenziate tra l'altro dall'alta disoccupazione) e la stretta è sincronizzata fra diversi Paesi.
Anche se il paper ammette che le sue conclusioni non sono definitive, l'Fmi ne trae due conseguenze. «Oggi, il primo comandamento della politica fiscale - dice Nemat Shafik, vicedirettore generale del Fondo - è che bisogna avere un piano di medio termine credibile e dettagliato». Il risanamento dei conti, aggiunge Blanchard, «è una maratona, non uno sprint. Ci vorranno molti anni. È molto importante avere un piano credibile per il medio termine perché così si può procedere più lentamente all'inizio». Il Fondo, insomma, predica gradualismo nell'aggiustamento per non strangolare l'economia.
Il secondo elemento, insiste l'Fmi, è concentrare l'attenzione su obiettivi di bilancio strutturali (depurati degli effetti del ciclo economico e delle misure una tantum) e non su quelli nominali. È previsto tra l'altro dai Trattati europei e di recente ha cominciato a sottolinearlo, per esempio, il Governo italiano. «Sta iniziando ad attenuarsi l'ossessione per gli obiettivi nominali», osserva Shafik. Il famoso tetto del 3% del Pil è l'esempio più ovvio di questa ossessione e il recente bilancio presentato da Governo francese dimostra che non è svanita del tutto. «Concentrarsi sugli obiettivi strutturali e non su quelli nominali - dice Blanchard - implica che, se la crescita risulta peggiore del previsto, il Paese non è costretto ad adottare ulteriori restrizioni fiscali che peggiorano la situazione». Un circolo vizioso, invece, innescato in Grecia e che rischia di avvitarsi anche in Spagna. Viceversa, il recente caso del Portogallo, ricorda il capo economista dell'Fmi, mostra che, a fronte di una ripresa più debole, o di una recessione più grave, rispetto alle previsioni, gli obiettivi di bilancio possono essere allentati.


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